L’animale si nutre.

L’animale assume un alimento complesso che non può essere assimilato tal quale dall’organismo ma ha bisogno di un sistema che scomponga l’alimento complesso in elementi più semplici.

Le piante, in fondo, non sono poi tanto diverse. Anche loro per nutrirsi hanno bisogno di elementi semplici, proprio come noi.

Come faccia l’animale a compiere questa operazione fondamentale si sa, è provvisto di stomaco e il problema non si pone.

Allo stesso modo, purtroppo, non ci si interroga più di tanto sul come facciano le piante, che uno stomaco non ce l’hanno.

Eppure basterebbe rispondere a questa domanda per chiarire cosa si intende per agricoltura. E cosa la contraddistingue dall’agricoltura industriale.

Se l’agricoltura industriale si occupa di nutrire le piante, l’agricoltura si occupa di nutrire il suolo. Lo stomaco delle piante non è altro che il terreno.

Dopo questa ‘rivelazione’ appare tanto chiara la cura che il contadino deve a questo elemento quanto incomprensibile l’idea di poter coltivare piante senza tenerlo in considerazione.

Eppure è quello che accade da 70 anni a questa parte, da quando il paradigma del terreno inerte mise radici, dopo essere piombato sul mondo agricolo come una bomba.

E non per modo di dire. L’attuazione dell’agricoltura industriale per come la conosciamo può essere fatta risalire alla fine della seconda guerra mondiale, nel momento in cui le grandi industrie belliche entrarono in crisi. Quando quantità enormi di sostanze necessarie per fabbricare ordigni giacevano inutilizzate. Occorreva trovare un mercato adatto in cui riciclarsi, un mercato grande, che potesse assorbire tanto. E sempre.

La guerra permanente al terrorismo non era stata ancora inventata, però c’era il comparto agricolo che rispondeva molto bene a questi bisogni: con i nitrati si fanno le bombe, è vero, ma per terra diventano concime.

Un certo tipo di concime.

Un tipo di concime fatto di elementi semplici, come semplice è il paradigma che ne promuove l’uso. Vincente proprio perchè semplice, narra di un’agricoltura non dissimile dalla matematica in cui la pianta necessita di pochi elementi, 3, il numero perfetto (azoto-fosforo-potassio), tutte cose che l’uomo può sintetizzare e mettere a disposizione, senza fare fatica. Se la pianta nella sua vita ha consumato 10 il contadino non dovrà fare altro che aggiungere alla terra quel 10 che è stato sottratto. Forse il contadino divenne così facilmente contabile perchè solo quattro lettere distinguevano i due mestieri.

Ma ‘ Per ogni problema complesso c’è sempre una soluzione semplice’ diceva lo scrittore irlandese G.B.Shaw. ‘Ed è sbagliata.’

Citarlo non è fuori luogo.

Fare a meno della complessità della natura, quindi dell’agricoltura, ha significato sostanzialmente peccare un pochino di presunzione.

La terra è un elemento vivo, in essa hanno luogo migliaia di reazioni chimiche, migliaia di interrelazioni di organismi tra i più diversi. La pianta si nutre in questo contesto di elevata complessità che è il risultato di milioni di anni di evoluzione e in questo contesto ha sviluppato il modo per crescere nel migliore dei modi possibili. Ne ha avuto il tempo.

Ignorare la complessità, in questo caso, ha comportato l’eliminazione di un modello funzionale alle piante nel lunghissimo periodo per sostituirlo con un altro funzionale all’uomo nel brevissimo periodo. Lo stesso J. von Liebig che formulò nell’800 per la prima volta il paradigma agricolo attuale, basato sulla nutrizione diretta delle piante mediante concimazione minerale, a fine vita ritrattò le sue convinzioni riconoscendole infondate.

Tuttavia la sua idea sopravvisse e fu convalidata successivamente dagli ottimi risultati che diede a livello quantitativo. Le piante crescono benissimo nutrite artificialmente.

Per un po’.

Liebig alla fine si chiese quale sarebbe stato il prezzo.

Con un secolo e mezzo di ritardo la domanda sembra suscitare finalmente un certo interesse, accade sempre quando i problemi ormai sono manifesti.

Per quanto riguarda le risposte, queste stanno nel letame (o chi per esso: compost vegetale, sovesci…), nella pratica della concimazione organica che dalla notte dei tempi sta alla base dell’agricoltura. I nostri predecessori non avevano idea delle leggi e dei processi che regolano la vita nel suolo, impararono a concimare organicamente osservando quello che accadeva in natura. Oggi qualche cosa in più sappiamo.

Tornando all’analogia suolo-stomaco, una pianta nutrita direttamente si può paragonare ad un uomo tenuto in vita grazie a una flebo. O a pillole per astronauti: prima o dopo il suo organo deputato alla digestione regredirà, fino a risultare inservibile. La prima considerazione che salta all’occhio è la dipendenza che si viene a creare tra l’organismo e colui che lo nutre, che sia la casa farmaceutica in un caso o l’industria agrochimica nell’altro.

Così come un uomo in quelle condizioni perderebbe la capacità di nutrirsi per conto proprio, similmente una pianta coltivata in un terreno inerte si troverebbe nella situazione di essere ospedalizzata, cioè incapace sostanzialmente di vivere senza l’assistenza di regolari apporti esterni. A questo punto non solo di nutrienti, ma anche di biocidi che proteggano da malattie e parassiti, perchè come gli animali anche le piante sono dotate di un loro sistema immunitario, la cui efficienza rifletterà la più o meno corretta alimentazione.

In un terreno vivo e sano la pianta può trovare tutto quello che per noi potrebbe essere rappresentato da una dieta mediterranea. Decomponendosi (nel modo corretto) la sostanza organica da origine a un’infinità di molecole, tra le più complesse mai studiate (l’humus) che mai nessuna ditta di concimi potrà replicare. Perchè una zucchina sappia di zucchina e abbia il valore nutrizionale di una zucchina occorre molto ma molto di più di una formula matematica. Occorre quel pochino di umiltà per riconoscere che la cosa migliore che il contadino possa fare è collaborare con il suolo invece di illudersi di sostituirlo, porre i migliori presupposti perchè la pianta, da sola, possa fare la pianta.

Non per un mese, o una stagione, ma per molto tempo. La sostanza organica contrariamente al concime sintetico crea indipendenza. Con il tempo la terra raggiungerà un livello di benessere tanto stabile da rendere questi apporti organici sempre più irrisori.

Benessere stabile, perchè la molecola dell’humus è stabile.

Costituisce una sorgente di elementi nutritivi a lenta cessione, la pianta riceve le sue razioni nei tempi corretti (incide moltissimo sulla salute) e le piogge non possono portargliele via, per quanto intense possano essere.

E’ in grado di legarsi a elementi fondamentali, per esempio fosforo e potassio, rendendoli così a portata di radice. Diversamente risulterebbero in gran parte imprendibili. E’ per questo motivo che in terreni industrializzati le dosi di questi concimi aumentano annualmente.

E’ dotata di potere tampone, impedisce alle piogge acide di abbassare il ph del suolo.

E’ idrofila, trattiene acqua fino a 20 volte il suo peso, le implicazioni a livello di risparmio idrico e desertificazione si commentano da sole.

Fa soffice il terreno, buono per le radici che devono crescere, per l’aria che deve circolare e per me che devo zappare.

La lista è ancora lunga.

Attualmente nella maggior parte dei suoli della pianura padana la percentuale di sostanza organica si aggira di poco sotto l’1%. Si parla di buona dotazione al 3%. Sotto lo 0,8% si innescano processi di desertificazione.

L’agricoltura così detta convenzionale non poteva portare benefici nel lungo periodo, fu in difetto fin dal principio nascendo non per fare gli interessi dell’agricoltore (e di chi ne ha bisogno, cioè di tutti) ma per il profitto delle corporazioni. Essa spogliò l’agricoltore del suo mestiere, che è anche il suo essere, rendendolo un ingranaggio al servizio di una manciata di persone che hanno potere politico e finanziario su interi paesi. Io mi rifiuto di lavorare per loro.

Fu la Shell che per prima tastò le possibilità che offriva il comparto agricolo per quanto riguarda i fertilizzanti dando inizio così alla conversione delle industrie belliche per destinare i nitrati all’agricoltura. Accadde dopo aver stimato l’utilizzo di letame nelle campagne francesi che all’epoca si aggirava sui 120 milioni di metri cubi annui.

Cosa ne sappia la Shell del buon governo del terreno potrebbe essere una domanda legittima.

A ben guardare i pilastri dell’agricoltura industriale poggiano su fondamenta che nulla hanno a che vedere con l’agricoltura. Il Glifosato (Roundup) è oggi il diserbante più utilizzato al mondo. Il suo principio attivo non è altro che il principio attivo del tristemente celebre agente arancio versato sul Vietnam, e la ditta è sempre la stessa. La parentela strutturale del gas nervino e dei pesticidi organofosforici della Bayer è più che stretta. Eccetera eccetera.

Se dopo il ’45 i denari e le ricerche fossero stati indirizzati allo sviluppo dell’agricoltura vera non saremmo morti di fame come strepitano gli idolatri di un certo tipo di progresso, il terzo mondo non sarebbe così terzo e il primo così gonfio e autistico.

Per tutte queste ragioni faccio l’Agricoltore.

Ogni forconata di letame bovino è un affronto alle lobby dell’agrochimico. E’ un pensiero buono che fa andare avanti.

Soprattutto in questi primi faticosi giorni dell’anno, i giorni del ringraziamento, il momento in cui si esce a dar da mangiare al campo ringraziandolo per quello che ha dato.

E che potrà dare.

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